“Ci sono ancora, da qualche
parte, sono qui, separata da questa devastazione, l’angoscia non mi ha ancora
presa tutta, c’è ancora un angolo dove posso mettermi al riparo e dire: io.” (cit)
Pur non amando particolarmente
leggere i libri premiati o troppo pubblicizzati, questo di Tiziano Scarpa mi ha
subito incuriosita per l’abbinamento romanzo/musica.
È infatti grazie alla musica che la
protagonista, Cecilia, ritrova la sua “essenza di vita” il suo “riscatto”. Musica che qui ritroviamo in
un parallelismo con l’acqua: entrambe fonti purificatrici, entrambe metafore di
libertà. Musica della quale percepiamo
le note ad ogni pagina letta.
All'inizio del racconto, l’autore dà un’impronta cupa e sconcertante, proprio come lo stato d’animo della protagonista, ma via via speranza, ribellione, curiosità e voglia di affermazione rischiarano la narrazione di un libro scritto con un linguaggio raffinato che non cade mai nel banale.
All'inizio del racconto, l’autore dà un’impronta cupa e sconcertante, proprio come lo stato d’animo della protagonista, ma via via speranza, ribellione, curiosità e voglia di affermazione rischiarano la narrazione di un libro scritto con un linguaggio raffinato che non cade mai nel banale.
Nasce Cecilia, frutto di un amore proibito, e viene immediatamente chiusa in un orfanotrofio gestito da suore. La fanciulla cresce col pensiero rivolto alla madre di cui non conosce né il volto né il nome ma che sente sempre presente vicino a lei: con lei “dialoga” ogni notte e, sempre lei, l’accompagna durante il giorno.
L’educazione del convento prevede l’insegnamento della musica e Cecilia è un’ottima allieva che